Fucile in sala da pranzo: cosa dice la Cassazione

Si riporta sul tema un’interessante, recentissima, sentenza, la n. 27602/2025 della Cass. Pen., Sez. I, data udienza 02/05/2025, data deposito 28/07/2025 (fonte: https://www.italgiure.giustizia.it/sncass/).

Con sentenza emessa in data […], il Tribunale di […] aveva condannato l’imputato […] alla pena di 400 Euro di ammenda per il reato di cui all’art. 20 L. n. 110/1975, per non avere adoperato nella custodia di un fucile, rinvenuto appoggiato ad un muro della stanza da pranzo della abitazione a lui in uso, le cautele necessarie ad impedire che terzi potessero impossessarsene agevolmente. Secondo la ricostruzione fatta in sentenza dal Tribunale di […], il processo trae origine da un controllo eseguito dai Carabinieri nell'abitazione della madre dell'imputato, il quale, avvertito dalla donna dell'arrivo delle forze dell'ordine, sopraggiungeva poco dopo nell'abitazione, dove veniva rinvenuto un fucile, da lui legalmente detenuto, nella stanza da pranzo e non vigilato. È stata dal Tribunale ritenuta provata la responsabilità dell’imputato, in particolare per essere stata valutata poco attendibile la giustificazione da lui offerta, secondo cui quel giorno era a caccia con il fucile ed era stato raggiunto da una telefonata della madre, la quale gli comunicava di stare poco bene e di avere bisogno di insulina. Di conseguenza, egli si era recato da lei e aveva lasciato il fucile nella stanza da pranzo per raggiungere subito la più vicina farmacia, sita a circa 10 chilometri di distanza. Il Tribunale ha giudicato la versione poco plausibile, in quanto i Carabinieri hanno dato atto che la madre, al momento del loro accesso in casa, non aveva alcun problema di salute; in ogni caso, la deposizione nella donna è stata sul punto assai generica, non avendo ella ricordato né il giorno, né il motivo dell'intervento dei carabinieri. Quanto al trattamento sanzionatorio, il Tribunale ha negato la concessione delle attenuanti generiche, ritenendo che non fossero emersi elementi di segno favorevole in proposito, e, tenuto conto dei parametri dell’art. 133 cod. pen., ha stimato pena congrua e adeguata al concreto disvalore del fatto quella di 400 euro di ammenda. Avverso tale pronuncia, l’imputato ha proposto impugnazione con ricorso che la Corte di Cassazione ha ritenuto infondato, motivando come segue: “Quanto alla doglianza relativa alla sussumibilità della condotta dell’imputato nella ipotesi di cui all’art. 20 L. n. 110 del 1975, deve ritenersi che la motivazione della sentenza impugnata sul punto sia adeguata e conforme alla costante giurisprudenza di legittimità sul contenuto dell’obbligo di diligenza nella custodia delle armi. È stato affermato, in proposito, che l’obbligo di diligenza nella custodia delle armi previsto dall'art. 20 della legge n. 110 del 1975, quando non si tratti di soggetti che esercitino professionalmente attività in materia di armi ed esplosivi, deve ritenersi adempiuto alla condizione che risultino adottate le cautele che, nelle specifiche situazioni di fatto, possono esigersi da una persona di normale prudenza, secondo il criterio dell'"id quod plerumque accidit” (Sez. 1, n. 35453 dell’11.5.2021, Sciortino, Rv. 281897 – 01; Sez. 1, n. 16609 dell’11/2/2013, Quaranta, Rv. 255682 – 01; Sez. 1, n. 8027 del 25/1/2011, Cavallaro, Rv. 249840 - 01). Il tribunale dà conto in modo congruo che nella vicenda di specie sono rimasti integrati gli elementi costitutivi del reato in questione, facendo riferimento al fatto che, per effetto della condotta attribuibile al ricorrente, il fucile è stato lasciato in evidenza nella stanza da pranzo dell’abitazione della madre, poggiato al muro e, pertanto, agevolmente raggiungibile da chiunque fosse entrato. Dal punto di vista fattuale, pertanto, l’arma era a immediata portata di mano di chi entrasse nell’abitazione, nella quale peraltro in quel momento era presente solo la madre dell’imputato; l'abitazione è del resto collocata in una area scarsamente urbanizzata e popolata, se è vero che la farmacia più vicina distava – per quanto riferito dallo stesso imputato – almeno dieci chilometri. Sotto questo profilo, non influisce sulla configurabilità del reato il rilievo difensivo secondo cui la norma consentirebbe di lasciare le armi alla portata di familiari o di altre persone ospitate, purché capaci. Invero, l’art. 20 L. n. 110 del 1975 prescrive, nel primo periodo del primo comma la cui violazione il Tribunale ha ritenuto di ravvisare nel caso di specie, che la custodia delle armi debba essere “assicurata con ogni diligenza nell’interesse della sicurezza pubblica”. Si tratta di previsione che non autorizza a distinguere, laddove non siano adottate le cautele imposte dalla normale prudenza, tra i soggetti che possono avere accesso al luogo in cui le armi sono detenute. Gli eventi che la norma precauzionale mira a prevenire sono anche quelli che riguardano persone che frequentano la casa con il consenso del proprietario e senza introdurvisi in modo clandestino, i quali non sono per ciò solo legittimati ad impossessarsi delle armi (Sez. 1, n. 47299 del 29/11/2011, Gennari, Rv. 251407 – 01, in motivazione). Compete, pertanto, al giudice di merito stabilire se, in rapporto alle contingenti situazioni, l’agente abbia custodito l’arma con la massima diligenza, in adempimento del relativo dovere che l’art. 20 L. n. 110 del 1975 indica senza specificare, in concreto, il suo contenuto (Sez. 1, n. 24271 del 13/5/2004, Cedro, Rv. 228904 - 01). Nel caso di specie, il Tribunale di […] ha ritenuto di ravvisare la violazione di tale obbligo con motivazione logica e congrua, che non è censurabile in questa sede.”.

Avv. Adele Morelli

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